Arte

L’apocalisse di Keith. L’Era della saturazione umana

apocalisseUn pianeta stracarico di gente, un fungo atomico, due spermatozoi sparati fuori dall’atmosfera terrestre. Sullo sfondo, a destra e a sinistra del fungo atomico, due analoghe opere d’arte cui è stato cancellato con una “X”, segno dell’assassinio grafico, il senso della vista, come dire, tolgo all’arte la capacità a essa intrinseca di far-vedere. Lo spazio, il tempo e gli attori mantengono una certa coerenza con il motivo dell’apocalisse nel racconto biblico. Alla spazialità estesa al mondo intero propria del racconto apocalittico si sovrappone quella del racconto plastico fatto da Haring. Uno spazio dilatato sino a rappresentare tutto il mondo, un intero pianeta affollato di gente. Alla temporalità al futuro, cioè a un tempo che verrà, proprio del messaggio apocalittico si sovrappone il tempo al futuro proposto dall’opera. Essa è del 1988, e rientra perciò in quegli anni ’70-’90 in cui è denunciato in modo crescente il problema dell’aumento demografico e i “rischi futuri” che comporterebbe. L’opera ricombina in un certo senso gli schemi iconografici tradizionali. Mostra gli attori dell’apocalisse, l’uomo e il male. Questi attori, sono ripresi tramite iterazione. Si riconosce, infatti, negli spermatozoi la confluenza di due schemi iconografici, il primo, naturale, la figura canonica dello sperma, che rinvia all’uomo nello statuto di ciò che lo genera, il secondo, culturale, per via delle corna, la simbolica del diavolo, rinvio iconico al concetto di male.La chiusura dell’opera, lo spazio delimitato dalla cornice, propone una topologia (Greimas), cioè un’articolazione interna dello stesso spazio che struttura la superficie dell’opera tramite assi o delimitazioni di aree che assolvono due funzioni basilari, segmentano l’insieme e orientano verso percorsi di lettura. Se teniamo conto della verticalità/orizzontalità, ciò che colpisce subito è l’esatta analogia fra la parte destra e quella sinistra dell’opera proposta dalla linea verticale di taglio centrale messa in atto dal fungo atomico. In entrambe le parti compaiono gli stessi oggetti. Nelle culture religiose il rapporto destra/sinistra è stato sempre un modello in grado di semplificare iconograficamente il rapporto bene/male (per es. lo yin/yang orientale). Si tratta ora di considerare cosa comporta questo schema nella cultura occidentale, poiché l’apocalisse, il giudizio finale qui rappresentato, è un tema che appartiene alla tradizione culturale occidentale. In effetti, nell’iconografia cristiana tale bipartizione trova una spiegazione nel fatto che questo tipo d’organizzazione spaziale delle rappresentazioni sul giudizio finale veicolava l’opposizione destra/sinistra all’opposizione di due precisi percorsi tematici, alla sinistra dello spettatore erano collocati gli eletti, alla destra i peccatori. Alla seconda e ultima venuta del Cristo i primi sarebbero ascesi a Dio mentre i secondi sprofondati nel “lago di fuoco”, all’inferno. Nel caso della nostra opera è abolita tale distinzione ed è invece favorita l’uguaglianza fra destra e sinistra, fra eletti e peccatori, l’apocalisse è trasformata da Haring in un evento che non ha più una logica distintiva, in qualcosa che accomuna bene e male senza distinguere come fa il racconto biblico fra coloro che sono iscritti nel “libro della vita” e coloro che non lo sono: siamo tutti sullo stesso pericoloso piano, un mondo saturo d’umani. I due dipinti di Leonardo tagliano invece il quadro in due metà orizzontali, sottostante/soprastante, che rinviano a un “prima”, l’espansione demografica con rispettiva esplosione del pianeta (e tanto di fungo atomico rosso sangue allegato), e un “dopo”, la diffusione nel cielo del sangue vaporizzato. Ci accorgiamo che i due dipinti diventano una linea di confine fra “ciò che è” e “ciò che sarà”. Essi confermano la temporalità al futuro del messaggio apocalittico. In quanto legame fra presente e futuro tale linea è particolare, è il risultato di una sequenza d’analoghe opere d’arte. Quest’opera, meglio conosciuta come “La Gioconda”, è quella che meglio mostra la ricerca leonardesca verso gli aspetti mutevoli dell’universo, verso la labilità insita nell’essenza delle cose. Mina Bacci ha proposto che la parafrasi eraclitea contenuta nel “Codice Trivulziano” è quella che meglio spiega questa sua opera. Leonardo voleva fermare il “tempo consumatore delle cose” invitando a stimolare il senso della vista per ri-guardare il tempo e notare che «ciò che di lui tu vedi prima non era e ciò che lui era non è più». Questa linea di confine fra presente e passato pone l’arte come mediatrice nel rapporto fra l’uomo e il tempo. Ma questa capacità dell’Arte intesa a fermare il tempo tramite un “fare-umano” è da Haring trasformata. Negando il senso della vista Haring priva l’arte della possibilità di (ri)guardare il tempo che passa, il “divenire”, e assegna così all’uomo l’incapacità di “battere l’occhio” per osservare le sue realizzazioni, il suo fare realizzato. È solo a partire da quest’incapacità umana a osservare il suo “fare” che l’opera si fa carico di trasformare il racconto “apocalittico”. Al posto d’angeli, mostri e cavalieri fautori della distruzione nel racconto biblico qui c’è solo l’inettitudine umana a non rendersi conto di tangibili e pericolosi dati di fatto quali la saturazione demografica. La rivelazione di Haring, seguendo l’etimo del termine apocalisse, ci sottrae così al mistero d’un soggetto umano che ha perso la capacità passionale, cioè l’attitudine ad esercitare il suo punto di vista sulle azioni ricevute, accettate dentro il proprio bagaglio culturale. La fine del millennio cristiano e l’inizio del nuovo paganesimo che Haring si proponeva d’annunciare con questa serie di serigrafie, poesie e disegni celebra l’inizio di una nuova cultura che abbia coscienza di ciò che è vivo ed esiste piuttosto che di ciò che non esiste, l’inizio d’un modo di pensare che faccia aprire gli occhi e guardare al fare dell’uomo per correggerne gli errori-orrori. La cultura nuova che tale racconto propone, quella che osserva il “fare” è stata perfettamente delineata dallo stesso Haring nel 1989 a D. Sheff del Rolling Stone, parole enunciate con la consapevolezza di dover di lì a poco affrontare la morte e sole a essere in grado di descrivere al meglio questo concetto e proporre una conclusione degna di questo grandissimo produttore di icone fondamentali della nostra razza:
«Quando ti avvicini alla fine della storia, devi incominciare a puntare tutte le cose verso una sola cosa. Ecco il punto dove sono arrivato ora: non so dov’è che finisca ma so che è importante fare subito quel che c’è da fare».

andreaSpartaco

1 thoughts on “L’apocalisse di Keith. L’Era della saturazione umana

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